GRANADIGLIA: LA “PASSIONE” DEL FIORE COME “FRUTTO” DELLE PIEGHE BAROCCHE


“Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa”[1]


Così parla Deleuze in merito a un periodo culturale così complesso e vario come quello Barocco. Una stagione che ricerca e scopre, attraverso la “Meraviglia” creata dall’uso dell’ingegno, il mondo in tutte le sue forme (e pieghe) in una continua tensione armonica tra alto e basso, tra macrocosmo e microcosmo, tra fisico e metafisico, dove il singolo esiste e prende senso solamente nell’insieme, in funzione dell’altro.
Ed è proprio in questo clima di continua indagine della realtà finalizzata a scoprirne le meravigliose e fitte “corrispondenze” che suscita un interesse particolare il fiore della Granadiglia, “oggetto” esotico (importato in Europa dal Brasile), completamente nuovo di cui si apprende subito la doppia natura (o di cui si spiega la piega nascosta) materiale – spirituale. “Si dice che abbia le insegne della passione”[2] riporta l’esploratore Gesuita José de Acosta in uno dei suoi scritti, dove la forma impersonale connota immediatamente la sfumatura dell’oggetto tra fisico e metafisico: il fiore è “pietoso[3], bello, ma non ha odore o con molta probabilità il dato olfattivo è qualcosa che, in questo caso, non ha particolare rilevanza. La Granadiglia si è ormai piegata concettualmente nel suo valore simbolico, “aprendosi”: il suo aspetto materiale/visivo descritto da qualcuno ha funto da “porta” d’uscita per una delle “corrispondenze” piegate al suo interno. Piega dentro piega in continuo e infinito movimento.
L’arrivo in Italia del fiore come omaggio al Papa non fa che sottolineare il passaggio della Granadiglia a “Fiore della Passione”: oggetto non più come forma-materia, ma dato da una possibilità, da un contesto che diventa immediatamente quello poetico. E’ del 1609 infatti (lo stesso anno dell’arrivo a Roma del fiore) l’antologia poetica che raccoglie testi sul fiore. Quanti dei poeti ammirarono realmente le “notabili insegne” della Granadiglia? Con molta probabilità, nessuno. Ma quando precedentemente si è espresso di come nel Barocco non ci sia distinzione tra livello fisico – metafisico, ma piuttosto uno “spiegamento” da uno all’altro (contenente allo stesso tempo il primo) si intendeva proprio questo (e il concetto verrà poi ripreso da uno dei più grandi autori Modernisti, T.S. Eliot, proprio per ridare valore ai testi Metafisici inglesi per molto tempo denigrati dalla cultura anglosassone per via della loro “concettosa immaterialità”, ma che proprio dal passaggio materiale e corporale obbligato trovano il punto di accesso a universi “sacri” o “ideali).  Da un’immagine apparentemente “piccola” del fiore nasce dunque un discorso totalizzante come quello della Passione: microcosmo nel macrocosmo, e viceversa.
I componimenti raccolti nell’antologia bolognese del 1609 consacrano la Granadiglia come manifestazione in terra della passione di Cristo, il “battesimo” della nuova piega. Tra i vari, prettamente significativa è la poesia di Claudio Achillini[4], audace marinista attento con la sua lirica (insieme ad altri suoi contemporanei) ad osservare la realtà con occhio inconsueto, distante, stravolto[5] col fine ultimo sempre l’intento di sorprendere[6].

Fassi colá ne  gl’ Indiani Regni,
Mercé d’un Fior, religioso Aprile.
Mira che spiega su la foglia humile
De i tormenti di Cristo scolpiti i segni.  
Bel Libro di Natura ai sacri ingegni
De’ Sacri Libri emulator gentile,
Tu ne’ tuoi fogli in odorato stile
 Le pene altrui, la mia salute insegni.

In una sola ottava, Achillini “trasporta” la Plassiflora dal luogo degli “Indiani Regni” alla dimensione temporale (Aprile) della passione di Cristo. È in questo passaggio che comincia l’ascesa, la sfumatura di un oggetto terreno e materiale a qualcosa di eterno e più saldo nel tempo: la Piega della Granadiglia si apre in un sistema binario (dal polo “basso” fisico- floreale a quello “alto” spirituale), sulla “foglia umile” spiega (verbo che fa da perno e intorno al quale si snoda tutto il concetto della poesia) la sofferenza, le ferite e l’importanza del sacrificio di Cristo per l’umanità. Da fiore,  si fa “Libro di Natura” (a chi possiede ingegno, sempre sacro perché al servizio di Dio, come si vede in questo caso) rappresentazione in Terra degli scritti dei “Sacri Libri” e quindi sorta di emblema del corpo martoriato di Cristo. Le foglie, divenute ormai “fogli” (ed è da sottolineare come qui la paronomasia, in pieno stile marinista, faccia confluire il suono di due parole simili nel “concetto” che Achillini vuole qui esprimere, coi significanti che rafforzano il significato e viceversa) non fanno altro che trasmettere le pene di Cristo, fonte di salute per tutti gli esseri umani.
Il sistema binario continua nella seconda parte del componimento dove ormai, giunti all’innalzamento del fiore a “portavoce” di Cristo, l’attenzione è posta al rapporto tra il fedele e Dio:

Se fia giammai, che degli odor su l’ali
Dolor mi giunga de’ passati mali;  
O me felice a l’hor, che da funesti
Caratteri trarrò sensi vitali,
E da terreno fior, frutti celesti!

Il dato olfattivo dato dagli “odori” è qui solamente un residuo della caratterista naturale del fiore, un mezzo di collegamento tra i “sanguigni e tormentosi inesti” che portano il “dolore dei passati mali”, la storia e il significato della Passione di Cristo e che, inebriati dall’uomo – fedele, inducono quest’ultimo a trarre da “funesti caratteri” (coi due versi della poesia costruiti tramite enjambement, a rafforzare il repentino passaggio del significato simbolico dei segni del fiore al fedele che li santifica) “sensi vitali” e “maturare” dunque come successo al fiore della Granadiglia da terreno fior a frutto celeste.

Il fiore che diventa frutto come deciso dal ciclo naturale, la piega barocca che diventa altra piega poiché si rispecchia sempre in altro, poiché in costante movimento in un ordine che va all’infinito. La stessa “funzione operativa” del fiore della Granadiglia, anche se appunto in un diverso contesto (e possibilità) è toccata al lampadario di cristallo protagonista dell’idillio [7]di Jeronimo Baìa[8], dove l’omaggio a Pedro II e sua moglie Maria Francesca danno l’occasione all’autore, con una varietà assoluta e difficili rimandi poetici, di inserire il lampadario in un insieme di pieghe ricercando elementi tra loro contrastanti (sacro/profano, chiaro/scuro e via dicendo) ma che come detto, nella logica Barocca, assumono significato solo con la presenza dell’altro, dell’ ”opposto”. Oggetto piega per eccellenza di tutta la stagione 600esca è però, con molta probabilità, il corpo di Cristo, “contenitore” e portatore non solo dei segni della passione, ma di tutto ciò che regola la vita. Ecco dunque perché, se le insegne del fiore riportano alla passione di Cristo, le ferite che il figlio di Dio ha portato sulla croce si “spiegano”, per l’enorme sacrificio, nel mondo intero. Ed è su questo che giocheranno molti dei poeti più illustri del secolo: da Marino (linguaggio amoroso ed elegante tipico, ereditato da una tradizione Cristiana Cattolica che vuole il corpo di Cristo investito anche di una carica erotica) agli inglesi Crashaw e Donne, tutti “infilando” il dito nella piaga e traendo da essa infinite allusioni.

(Manuel Lucaroni, tesina per "Letteratura Italiana e Europee" Università La Sapienza Roma, a.a 2017/2018)



[1]  Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco, Einaudi 2004
[2] José de Acosta, Historia natural y medicinal de las Indias (Sevilla, 1590)
[3] Ibidem, 2.
[4] RIME | DI DIVERSI | ECCELLENTISSIMI AVTORI | IN LODE DEL FIORE | DELLA GRANADIGLIA. | Altrimenti della Paſſione di Noſtro Sig.Giesù Criſto. | [fregio xilografico] | Dell’Eccellentiſſimo Signor Dottore | Claudio Achilini (1574-1642)
[5] Giulio Ferroni, Andrea Cortellessa, Italo Pantani, Silvia Tatti, “Storia e testi della letteratura italiana – la società di antico regime” pp. 76
[6] Ibidem, 5.
[7] Lampadário de cristal, ed. antologia Fénix renascida (1718, 1746) di Jeronimo Baìa
[8] Coimbra 1620 ca. – Viana do Castelo 1688. Benedettino, Professore dell’Università, Poeta e predicatore della corte di Afonso VI

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